Cadute


L’orizzonte in bilico

“Il male di vivere ho incontrato” scriveva Eugenio Montale. Giuseppe Braghiroli non usa parole, suoni e versi come il poeta ligure, ma con i suoi collages digitali di segni grafici, foto e colori acrilici esprime la stessa idea. Il “correlativo oggettivo” del “male di vivere” in Montale era un rivo strozzato, una foglia accartocciata, un cavallo stramazzato al suolo. In Braghiroli è un uomo morente fra filo spinato, lupi latranti (perché l’uomo è un lupo per l’uomo) e canne di fucile, o è il sopravvissuto a una strage, che vaga da solo al limitare della città distrutta, esibendo inutilmente una bandiera bianca per una tregua che mai sarà concessa. Il male è un soldato agonizzante in mezzo a un campo rosso sangue o accanto alle sbarre invano aperte di un Lager, è un prigioniero che attende, legato, la sua fine, è la marcia dei vinti verso i loro carnefici, è ogni forma di tortura.
Il paesaggio è schiacciato fra un cielo vuoto e sordo e una terra respingente, che non vuole accogliere in sé neanche i cadaveri. I corpi sono costretti a rimanere sospesi con il loro orrendo rattrappimento in questo orizzonte in bilico, dove tutto può precipitare. É una sottolineatura di valore filosofico: questo è l’orizzonte umano, è la nostra condizione. Siamo destinati a cadere e nessuno avrà pietà. All’orizzonte si appoggiano grattacieli vuoti e semidistrutti, mentre davanti c’è solo la grande voragine infernale in cui sono sprofondati chissà quanti palazzi. E dietro, in fondo,  si alzano verso il cielo colonne di fumo nero, traccia di un grande sacrificio umano che qualcuno ha voluto compiere a una folle divinità bellica.

Federica Dallasta
















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